Rapallo – 5 Novembre 1944, i fucilati di Sant’Anna.

Ricostruzione degli eventi di quel tempo fatta dallo storico Agostino Pendola, presidente della sezione ANMIG di Rapallo, nel libro “L’eccidio del muraglione e altre storie della Resistenza rapallese, Gammarò Editore, Sestri Levante, 2009”.

Iniziamo a ricordare i fatti, partendo dai primi giorni del mese di novembre del 1944.

L’agguato:
L’eco dei colpi sparati in rapida successione arrivò forte nella camera dove lavoravano la sarta e le sue allieve; non erano i soliti colpi del poligono di tiro, distante qualche centinaia di metri verso San Massimo, erano colpi molto, molto più vicini, proprio sulla strada che dal ponte conduceva a Santa Maria. Qualcosa di grosso e di importante era successo.

La reazione della sarta fu veloce e prevedibile: “Ragazze – disse – per oggi basta lavorare; prima che arrivi gente andate tutte a casa”. Anche la giovane sartina diciannovenne che abitava a Savagna si avviò verso casa, lungo il greto del torrente prima e poi su per la rapida salita. Non sapeva che seguiva di pochi minuti il drappello partigiano che aveva appena freddato un milite delle Brigate Nere.
L’ucciso non era un fascista qualsiasi: 47 anni, Ferdinando Casassa era il comandante delle Brigate Nere di Santa Margherita Ligure. (1)

Noi non sappiamo cosa lo condusse a Sant’Anna quel pomeriggio di novembre, qualcuno in seguito disse che era stato attirato in un’imboscata dai partigiani con la promessa di uno scambio di prigionieri, e che credeva di andare a un incontro con gli emissari partigiani.
Può darsi; comunque la riprova del ruolo senz’altro importante che rivestiva nel fascismo della Riviera di Levante si ha dal modo con il quale Fiamma Repubblicana, settimanale chiavarese di propaganda fascista, che in realtà appariva una volta al mese in un solo foglio, ne dette la notizia nel numero del 26 novembre successivo: “Ferdinando Casassa: presente” titolò un articolo-apologo in prima pagina di spalla su due colonne con foto, un articolo che in realtà non dava alcuna notizia oltre a quella della morte, e anche questa senza alcun dettaglio “…assassinato dai ribelli in un’imboscata a Sant’Anna di Rapallo”.

Fiamma Repubblicana, del 26 Novembre 1944.


Fiamma Repubblicana sarebbe ritornata sull’argomento ancora una volta, nel numero del 18 marzo 1945, quando pubblicava la foto di tale Giuffra Giuseppe detto “Il biondo di Cassagna”, identificandolo come “uccisore di Ferdinando Cassassa”.(2)


I partigiani che avevano fatto fuoco, erano senz’altro scesi dalla collina di Savagna, perchè proprio questa fu la strada che presero per il ritorno. E non a caso, sopra Savagna si trova un pianoro, Spotà, che allora – come ora – è il più alto nucleo abitato di tutta la collina che termina nei 600 metri del Monte Caravaggio; un sentiero porta rapidamente attraverso i boschi verso il Passo del Gallo, aprendo la via della Fontanabuona.

I residenti ricordano che durante la Resistenza i partigiani arrivavano fino a Spotà, e lì si fermavano ad attendere i loro emissari che da Rapallo salivano a incontrarli. Un luogo tranquillo, lontano dalle strade battute dai tedeschi e dai fascisti.
Siamo certi che presero questa strada perchè vennero visti, e il ricordo ci è stato tramandato. Un invalido di guerra, che trascorreva indisturbato il suo tempo a casa sopra la collina di San Pietro, quel pomeriggio, dopo gli spari vide un gruppetto di uomini che saliva di buon passo, ma senza correre, la salita pedonale che porta, oggi, verso il Ristorante Romina (in via Savagna); solo poche centinaia di metri oltre un contadino che raccoglieva olive vicino alla strada li vide passare:

Uomo– disse uno del gruppo – voi non avete visto niente”.

Certamente l’uomo non avrebbe detto nulla, già consigliere comunale per il Partito Popolare prima dell’avvento del Fascismo, era stato nascosto a lungo per evitare olio di ricino e manganello.
Documenti recenti attribuiscono l’azione alla formazione G.L. Matteotti. Ricordiamo ora che a ottobre-novembre, i suoi uomini realizzarono una serie di azioni fin sulla costa, tra Sori e Recco, tra Ruta, Rapallo e Avegno.
L’8 novembre, una nota del comando elencava le ultime azioni compiute, tra queste scriveva che il Distaccamento autonomo di Giuseppe, durante una ardita azione su Rapallo uccideva in pieno giorno il capo delle Guardie Nere della località e prelevava un altro membro dello stesso Corpo.(3)

La vendetta:
Era tradizione che i tedeschi e i fascisti dopo un attacco partigiano, se avevano riportato vittime, uccidessero alcuni civili, partigiani per rappresaglia.

Il fatto di Sant’Anna seguì questo triste e noto copione. Lo stesso giorno, o forse il giorno dopo dell’uccisione di Casassa, le Brigate Nere di Rapallo condussero sul ponte due giovani, da sacrificare per vendetta dell’attacco subito.

Si trattava di due giovani che erano stati prelevati in carcere a Chiavari, e la cui unica colpa probabilmente era l’essere renitenti. Questo almeno stando alle voci che circolavano a Rapallo (4); che non erano partigiani è peraltro evidente dal testo della lapide che parla di “due giovani ostaggi innocenti vittime”. Ancora un anno dopo la “Voce del Popolo”, giornale rapallese, scriveva che l’unica cosa che “i compagni di cella nella prigione di Chiavari hanno potuto conoscere è stato il luogo di nascita, e cioè il più giovane, di circa vent’anni era di Sampierdarena, l’altro meridionale”.

Entrambi tuttavia avevano al collo una medaglietta della Madonna della Guardia.(5)

Solo molto tempo dopo i fatti uno dei due venne identificato e dopo la guerra la famiglia venne da Livorno a prenderne i resti; l’altro è restato per sempre senza nome. (*)
Tuttavia la fucilazione di questi due poveretti alla ringhiera del ponte non fu affatto semplice. Testimonianze raccolte in seguito parlano di una rivolta del plotone d’esecuzione verso il suo comandante.

Si racconta che i ragazzi della Brigata Nera, tutti di Rapallo e di un’età molto giovane, 17-18 anni, si ribellarono al loro comandante dicendo che proprio non avevano intenzione di ammazzare nessuno. Al che quest’ultimo, di poco maggiore di loro, li accusò di essere vili e codardi, e con una raffica di mitra pose fine alla via degli ostaggi (6).

I loro corpi vennero lasciati per qualche tempo sul ponte a monito per la popolazione; un medico che abitava nelle vicinanze transitando in bicicletta si fermò e, avvicinatosi, osservò attentamente le ferite. Probabilmente voleva rendersi conto se la morte era stata rapida.
Ricordiamo per inciso cos’erano le Brigate Nere. Il Corpo Ausiliario della Brigate Nere era stato costituito con Decreto (il n. 446 del 30 giugno 1944) con il compito di militarizzare gli iscritti del Partito Fascista Repubblicano. Vi dovevano aderire tutti gli iscritti tra i 18 e i 60 anni che già non facevano parte della Forze Armate, aveva compiti di ausilio nella lotta antipartigiana. Non aveva, in teoria, compiti di polizia e non poteva arrestare, restando questi compiti demandati alla polizia. In realtà studi recenti riportano innumerevoli casi di violenze, di arresti e di uccisioni perpetrati non solo sui partigiani, ma anche su semplici cittadini, specialmente nelle campagne. (7)

In pratica le Brigate Nere erano, nel panorama della Repubblica Sociale, uno degli innumerevoli corpi militari che operavano come milizia territoriale (8).


Il ponte di Sant’Anna avrebbe visto ancora una tragica vicenda. La mattina del 28 aprile 1945, cinque fascisti si trovarono di fronte al plotone d’esecuzione. Si trattava di un alpino della Monterosa, una formazione della Repubblica di Salò, di due guardie della polizia economica (la temuta annonaria), e di due Brigate Nere.

Tra questi cinque c’era anche il giovane comandante del plotone d’esecuzione dei due giovani renitenti, del 5 novembre precedente; di un altro si diceva che avesse prestato servizio nella Casa dello Studente di Genova, nota sede di torture per partigiani e patrioti, di un terzo che avesse fatto parte di un gruppo di sbandati irriducibili della Monterosa che poco prima era arrivato fino in centro città (9).

Non sappiamo da chi era formato il plotone d’esecuzione, né se vi fu un processo, negli archivi della Brigata Longhi non ve ne è traccia, né se ne parla nella documentazione della GL Matteotti sui fatti di Rapallo. Si racconta che il più giovane dei cinque rifiutò il cappellano dell’Istituto Vittorino da Feltre, allora a Rapallo, che era stato chiamato per i conforti religiosi (10) . I corpi vennero poi trasportati con un carretto al cimitero per la sepoltura.

(*) Nota: Il 5 novembre 1944 cade a Rapallo Gimorri Filiberto, con buona probabilità potrebbe essere uno dei due fucilati.

Clicca per visualizzare il luogo della fucilazione sulla Mappa digitale della Resistenza nel Tigullio.

NOTE della ricostruzione dei fatti:
(1) per i morti fascisti Albo dei Caduti e Dispersi, a cura della Fondazione della RSI, 2003, disponibile on-line
(2) Bertelloni Canale in Cosa importa se si muore, cit. parlano di due partigiani travestiti da fascisti come autori dell’agguato.
(3) G.Gimelli, La Resistenza in Liguria, Cronache militari e documenti, Carocci, Roma 2005.
Per la Matteotti vedi: V. Civitella, La Collina delle Lucertole, Gammarò Editori, Sestri Levante, 2008
(4) Per le notizie sui due fucilati testimonianza di Luciano Rainusso.
(5) La Voce del Popolo, n. 25 del 10 novembre 1945
(6) Per questo fatto, testimonianza di Franco Canessa.
(7) S.Antonini, La “Banda Spiotta”, De Ferrari, Genova, 2007.
(8) F.Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Milano, 1963.
(9) I nomi: Luigi Ferrari, 49 anni; Ercole Fedele, 39; Tomaso Lasagni, 39; Livio Barni, 19 e Alfredo Tafuri, 21.
(10) Testimonianza di Vincenzo Gubitosi.

Altre fonti: Manlio Piaggio, relazione “Muraglione”, si trova presso l’ Istituto Storico della Resistenza, Genova, Fondo Gimelli.
P. Castagnino, Saetta, Milano, 1974.

Pubblicato da Matteo Brugnoli

Maritime Consultant