Nel 1944 l’Italia era divisa in due dalla linea Gotica eretta dai nazifascisti, un confine che divideva due mondi anche sotto il profilo sportivo.
Al nord, il fascismo prova riorganizzarsi dopo la caduta della dittatura sancita in due passaggi: Quello del 25 Luglio 1943 con la destituzione di Mussolini da capo del governo e quello del 8 Settembre con il proclama Badoglio e l’armistizio di Cassibile che sancisce definitivamente la fine della dittatura fascista in Italia.
Durante questo periodo nel Meridione vennero disputati soltanto dei tornei calcistici a carattere regionale. A rendere ancora più ingarbugliata la situazione, nel 1943 gli anglo-americani avevano istituito nella Sicilia occupata la cosiddetta Federazione Siciliana degli Sports, posta al di fuori della giurisdizione del CONI e controllata dal Movimento per l’Indipendenza della Sicilia.
Per quanto concerne il campionato di guerra che si disputò nei territori controllati dalla RSI, la FIGC fascista stabilì inizialmente che non si sarebbero disputati campionati nazionali, bensì dei “Campionati Misti Regionali”, sebbene già allora non fosse esclusa l’eventuale disputa di una successiva fase interregionale. Nel gennaio del 1944, tuttavia, la Consulta che coadiuvava il reggente Rossi stabilì che le vincenti regionali del campionato di Divisione Nazionale misto avrebbero giocato un torneo finale per l’attribuzione dello Scudetto.
Per esentare i giocatori dal servizio militare diverse società ricorsero all’espediente di associarsi con corpi militari o ad aziende belliche, dei quali i propri calciatori sarebbero entrati a fare parte. Ad esempio il Torino raggiunse un accordo con la FIAT in virtù del quale tutti i giocatori granata passarono al Gruppo Sportivo FIAT con la costituzione di un “Gruppo Torino” in seno al Dopolavoro stesso. Il Torino partecipò così come Torino FIAT al campionato di guerra, con i propri giocatori esentati dal servizio militare in quanto impiegati di un’azienda bellica. Per gli stessi motivi la Juventus divenne “Juventus Cisitalia” facendo diventare i propri giocatori dipendenti della Cisitalia e il Novara divenne “Novara IGDA” passando in forza al dopolavoro aziendale dell’Istituto Geografico De Agostini.
Per motivi analoghi nacque la squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia in seguito a un accordo fra Giacomo Semorile, che prese le redini dell’A.C. Spezia dopo la deportazione in Germania del presidente Coriolano Perioli, e l’ing. Gandino, il comandante del 42º Corpo: l’intesa prevedeva che i Vigili del Fuoco, per poter allestire una squadra in grado di rappresentare La Spezia nel campionato di guerra, avrebbero temporaneamente rilevato i calciatori del club aquilotto, restituendoli alla casa madre al termine del conflitto. Questa soluzione costituì un ottimo stratagemma per sottrarre i giocatori agli obblighi del servizio militare. Il Gruppo Sportivo 42º Corpo dei Vigili del Fuoco era una società di nuova affiliazione.
Nella Repubblica sociale al nord si giocò un torneo su più regioni: Liguria, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia e Toscana.
Cominciato nel settembre del 1943, dopo le rinunce di molte squadre a causa dei bombardamenti, nel gennaio successivo la Consulta presieduta da Ettore Rossi decide di assegnarlo in un girone finale, a luglio, all’Arena Civica di Milano. Ci arrivano tre squadre: il Fiat Torino, i Vigili del Fuoco di La Spezia e il Venezia.
Nel 1944 l’Italia era così, un Paese spaccato in due, su tutto. Due governi, due Federcalcio. La FIGC infatti si era separata: una parte a Milano, l’altra a Roma, per custodire i tesserini e la Coppa Rimet (la Coppa del Mondo). Ottorino Barassi, futuro presidente, l’aveva nascosta in una scatola di scarpe sotto al letto. I nazisti, perquisendo casa sua, non l’hanno mai scoperta.
I granata sono ancora la squadra da battere. Campioni d’Italia in carica, Vittorio Pozzo come selezionatore e Mazzola, Ossola, Piola e Gabetto in campo. È un grande Torino che qualche anno dopo diventerà semplicemente Il Grande Torino. Il Toro è arrivato a Milano per vincere, il Venezia per tentare l’impresa, lo Spezia sostanzialmente per farsi un giro. È quello che pensano tutti, tranne l’ingegnere Luigi Gandino, comandante del 42° Corpo Vigili del Fuoco. È lui che crea la squadra, aggiungendo ai suoi uomini qualche giocatore del Napoli e del Livorno che l’anno prima era arrivato secondo in campionato. Li affida a Ottavio Barbieri, ex allenatore del Genoa. Fondamentale per il successo spezzino fu la tattica per l’epoca innovativa di Barbieri, il cosiddetto “catenaccio” (introdotto in Italia solo due anni prima dall’allenatore della Triestina Mario Villini), giocando nel ruolo di libero (o “terzino di posizione”), diede maggiore solidità alla difesa spezzina contribuendo in maniera decisiva (insieme all’ottima prestazione in marcatura dell’interno Tommaseo) all’inattesa vittoria contro i granata.
I Vigili del Fuoco della Spezia, ammessi per loro richiesta al campionato emiliano pur essendo liguri (anche perché molti dei collegamenti stradali con il Piemonte erano interrotti a causa dei bombardamenti), furono costretti a giocare spesso le proprie partite casalinghe a Carpi (lo Stadio Alberto Picco di La Spezia era stato reso inagibile dai bombardamenti) e a viaggiare su un’autobotte contenente anche sale spezzino da barattare durante il viaggio con i contadini in cambio di cibo.
Le tribune erano semi deserte, a causa del rischio di bombardamenti o di retate dei nazisti, e in caso di preallarme aereo la partita veniva temporaneamente sospesa ma i calciatori erano tenuti a rimanere nello stadio in attesa della conferma dell’allarme in modo da poter riprendere la partita in caso di falso allarme. Le strade erano sconnesse, e capitò che, in occasione di una partita di campionato contro il Modena, il Bologna fu costretto a fare un tratto di strada a piedi per raggiungere lo stadio perdendo per 5-0 a causa della stanchezza. Si narra addirittura che le compagini toscane compissero le trasferte in bicicletta. Il giorno della prima partita del girone finale contro il Venezia, i giocatori spezzini arrivarono a Milano tutti bagnati a causa della pioggia che li sorprese nel corso del viaggio a bordo di un furgone scoperto; tentarono di asciugare le maglie sul fuoco finendo però per bruciacchiarle e si presentarono alla partita così conciati che i giocatori del Venezia li presero per “barboni” destando anche l’attenzione del cronista della Gazzetta dello Sport che commentò che le cattive condizioni delle maglie degli spezzini era il segno evidente delle tribolazioni patite durante il viaggio.
Come abbiamo anticipato, in finale giunsero Venezia, Torino FIAT e i VV.FF. Spezia. I veneti non erano più l’ottima squadra capace di conquistare il terzo posto nel campionato di due anni prima; il Torino, invece, era il “Grande Torino”, campione d’Italia in carica, destinato a conquistare altri quattro scudetti al termine della guerra, prima della tragedia di Superga. La vera sorpresa era comunque costituita dalla squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia. Questa compagine era nata dai resti dello Spezia Calcio, il quale aveva sospeso l’attività in seguito all’arresto e all’invio nei campi di concentramento in Germania del presidente Coriolano Perioli.
Le partite finali vennero disputate all’Arena di Milano, quasi sempre semideserta per il timore di possibili rastrellamenti da parte dei tedeschi. Il 9 luglio 1944 si svolse la prima sfida che si concluse con il pareggio tra VV.FF. Spezia e Venezia per 1-1, risultato che sembrava spianare la strada al Torino per la conquista del secondo titolo consecutivo dopo quello della stagione 1942-1943. Nello stesso giorno la squadra granata era tuttavia stata a Trieste per disputare, nelle vesti della Rappresentativa Piemonte, una partita amichevole contro la Rappresentativa Venezia Giulia, inizialmente in programma il 2 luglio ma rinviata dalla Federazione; i granata avevano richiesto l’annullamento di tale incontro perché di scarso interesse ma soprattutto per le difficoltà della trasferta, ma la FIGC fu inflessibile e il Torino fu costretto a partire per Trieste venerdì 7 arrivando appena in tempo per la partita (terminata 2-2).
Il Torino risentì del lungo viaggio, che si protrasse per sette giorni tra andata e ritorno, e al ritorno in sede giovedì mattina i granata ebbero appena un giorno di tempo per riposarsi e per ripartire per Milano, dove il 16 era in programma lo scontro con lo Spezia.
Un’aneddoto dice che Vittorio Pozzo, selezionatore del Grande Torino integrato da altri elementi (una vera e propria nazionale approntata per il torneo) prima della partita si avvicinò allo spogliatoio dei pompieri e complimentandosi per essere giunti in finale, prometteva di non infierire troppo. Questo caricò di rabbia agonistica i derisi vigili del fuoco.
Pronti via e lo Spezia passa in vantaggio. Costa batte una rimessa laterale, scarica su Angelini che si libera di Ellena e fa partire un tiro molto preciso all’angolino. Mazzola, però, pareggia su punizione. Da lì è un dominio granata, ma Angelini trova il modo di farsi spazio tra i difensori e segnare con un tiro a mezz’altezza da una ventina di metri: 2-1, una vittoria che significa scudetto.
I pompieri appresero di aver vinto lo scudetto quando, già sulla strada del ritorno da Milano, seppero che il Toro aveva strapazzato il Venezia 5-2. Ma tutti in quel luglio del 44 pensavano già a salvarsi la pelle ed alle famiglie nelle città bombardate.
Nei successivi cinquant’anni la FIGC confermò la non ufficialità della manifestazione. La denominazione “Divisione Nazionale”, con la quale essa era indicata all’epoca nei documenti federali, cadde nel dimenticatoio, sostituita dalla definizione informale “Campionato Alta Italia”
Tuttavia, dopo perduranti ricerche e petizioni dei giornalisti e delle autorità spezzine, il 22 gennaio 2002 la Federazione, pur non riconoscendo il torneo quale un’edizione del campionato italiano di calcio, ha parzialmente accolto le istanze dello Spezia Calcio, assegnandogli un titolo sportivo onorifico (ufficiale, ma non equiparabile allo “scudetto”) per la vittoria del campionato di guerra 1944, con una menzione particolare allo spirito di sportività con cui gli atleti bianconeri affrontarono le difficoltà di un periodo storico in cui l’Italia era lacerata dalla guerra civile. Oltre all’attribuzione di questo titolo onorifico, è stata conferita allo Spezia la possibilità di apporre permanentemente sulle divise sociali un distintivo speciale in ricordo di quell’impresa. Questa concessione costituisce un fatto molto raro: sono infatti poche le squadre che possono vantare l’esposizione perpetua di un titolo sulla propria maglia
Nella Sala Appiani dell’Arena Civica è appesa una targa che riporta i loro nomi: Bani, Persia, Borrini, Amenta, Gramaglia, Scarpato, Rostagno, Tommaseo, Angelini, Tori, Costa. Undici eroi, per una vita sulla strada, ma per un anno anche sul campo.
In foto la formazione dei VV.FF. Spezia (G.S. 42º Corpo dei Vigili del Fuoco La Spezia), vincitori del torneo di guerra nel 1944.
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