In foto gli imputati fascisti alla sbarra nel Tribunale di Chiavari il 16 Agosto 1945 (Vito Spiotta primo a sinistra col pizzo, Pino Righi, Enrico Podestà, condannati poi a morte).
Racconti tratti da il Secolo XIX del 8 febbraio 2020, frutto di testimonianze inedite che Guido Lombardi (regista e scrittore) ha raccolto da un’abitante della Val Graveglia testimone di pestaggi da parte delle camice nere fasciste contro inermi civili:
“Mi chiamo Argentina proprio come il Paese sudamericano. Forse i miei vecchi mi hanno dato il nome di un loro sogno mai avverato, cercare fortuna in Argentina. Sono vissuta qui nella valle, sempre in mezzo ai minatori, ne ho sposato anche uno….omissis….Tante cose brutte della gioventù le ho scordate , invece quel giorno maledetto non lo dimenticherò mai, ce l’ho negli occhi come se fosse adesso.
Voglio strapparmi dal cuore una storia tremenda. Era il 1944, avevo vent’anni. Un pomeriggio un camion militare sbuca dalla curva e si ferma a pochi metri da casa nostra a Piandifieno. Dalla cabina di guida scende un uomo dall’aria altezzosa, un aspetto elegante, indossa un cappotto marrone e un cappello beige. Dal cassone saltano a terra sei giovani in camicia nera, hanno un atteggiamento baldanzoso, impugnano i manganelli. Rivolgono gli sguardi verso la curva e sembrano aspettare qualcuno.
Intuisco che sta per succedere qualcosa di insolito. Sulla strada vedo salire un giovane a piedi, l’hanno superato e si sono fermati ad aspettarlo. Infilo la porta di casa, me la chiudo alle spalle , corro per le scale al primo piano per vedere meglio. Quando da dietro alle persiane butto gli occhi giù, il giovane sta già crollando sotto scariche selvagge di manganellate.
Tutti insieme si avventano su di lui, pestano, pestano, colpi sordi che lo spaccano dentro. Massacrato, sanguinante, ridotto a un fantoccio informe, come una bestia, lo trascinano sul bordo strada e lo lasciano morire. Ancora impietrita e tremante, con il respiro che mi muore dentro, vedo un uomo, lo riconosco è di Statale, viene giù sulla strada in direzione opposta, in una mano regge un sacchetto.Sento la voce arrogante del caporione <<Cos’hai li’?>> e indica il sacchetto <<un po’ di riso, me l’ha dato mio fratello di San Salvatore, là qualcosa da mangiare si trova, a Statale è miseria>> , Dice la verità e certo di parlare con persone che non hanno dimenticato del tutto cos’è la compassione.
I fascisti lo guardano con disprezzo, come avesse commesso la più scontata e peggiore delle colpe di questo mondo, ha solo fame.
Con ghigni di scherno e un’aria divertita , gli prendono il sacchetto e lo riempono di botte. Lo picchiano sulla faccia, lo stomaco, le reni, il sangue schizza, gli cola sul viso, sui vestiti. E pensare che era della loro stessa idea, sapevo che aveva simpatie fasciste.
Poco dopo arriva la corriera da Chiavari e si ferma al capolinea, qui alla posta, scende un vecchio contadino e viene in direzione del camion dei fascisti. Uno di loro gli chiede con fare fare provocatorio e un tono sfrontato <<e tu da dove vieni?>> cerca un pretesto qualsiasi <<Sono andato alla Croce Rossa a Chiavari per sapere come posso scrivere a mio figlio che è prigioniero in Germania>> risponde candido il vecchio, convinto che comprendano la sua preoccupazione di padre.
Ma questi sono bestie, non esseri umani e infieriscono sui poveri malcapitati. Guardano il vecchio come un insetto da schiacciare. Io diventata di ghiaccio vedo tutto dalla finestra. Per la terza volta sfogano la loro brutalità, gli danno un sacco di botte, con tutto il disprezzo e la vigliaccheria di cui sono capaci. In sei contro un povero anziano, sotto lo sguardo impietrito del caporione…non si sporca le mani perchè è vestito come un damerino. Girandole di manganellate da rompergli le ossa e altro sangue che cola sulla strada. Non dimenticherò mai tutte quelle chiazze rosse davanti a casa.
Ma il giorno maledetto non è ancora finito. Mia madre era salita a un campo poco sopra la strada per andare a raccogliere delle cipolline novelle, avverte voci, grida e lamenti. Scende giù verso casa per capire cosa stesse succedendo. Cerca subito di fare da scudo per fermare il pestaggio del vecchio.
Come mia madre si mette in mezzo, una delle camicie nere, rivolto agli altri della squadra, grida e ripete con voce alterata <<Questa è una ribelle! Bisogna fucilarla!>>.
L’afferrano e la spingono contro il camion, imbracciano i fucili pronti a spararle come a un animale. So che secondo l’umore del momento a questa gente basta una parola in più o un gesto sbagliato per ammazzarti. Dalla finestra non distinguo la faccia del fascista che grida ribelle contro mia madre.
Corro in strada per salvarla. Da vicino lo riconosco , è di Nascio, il paese più su e abita a Lavagna. Ci deve settecento lire , se li convince a fucilare mia madre estingue il debito. Mi ci butto ai piedi, in ginocchio lo imploro di non farlo, per pietà, che mia madre è una brava donna, piango. Quell’uomo , il fascista di Nascio, è ormai morto, l’ho mandato all’inferno, nessuno preghi per la sua anima.
Anche per me quel giorno infame sta per concludersi con una tragedia. Ma ecco che dopo tutto quel sangue succede un miracolo. L’autista del camion che durante i pestaggi è rimasto al volante, dal finestrino vede mia madre contro il cassonetto con le armi spianate intorno, scende a terra, svelto la prende per un braccio e dice con voce ferma agli altri <<Questa donna non si tocca>> . Con una parola ti ammazzavano con l’altra di salvavano, in quel tempo non eri mai sicuro della tua vita.
Un giorno, la guerra era finita da un po’, sono entrata in un negozio per comprare una cosa, il proprietario dietro il banco mi ha rivolto uno sguardo sorpreso ed imbarazzato. Ci siamo riconosciuti, lui era l’autista del camion della squadraccia fascista, al momento di pagare l’uomo mi ha fissato negli occhi con uno sguardo turbato, quasi impaurito.
Dopo diversi anni da quel tragico giorno, non si aspettava di rivedermi davanti a lui. Gli ricordavo gli anni nefandi della sua vita, quelli da cancellare per sempre. Ha scosso la testa e mi ha detto <<No, lei non mi deve niente, va bene cosi’. Non ci siamo mai visti e anche se ci dovessimo incontrare ancora noi non ci conosciamo>>. Mi ha accompagnato deciso alla porta. Ho mantenuto la promessa e non ho mai rivelato la sua identità. Quella gente cattiva ormai sarà tutta morta.
Quel giorno hanno sfogato la loro bestialità su un giovane lasciato agonizzante sul bordo della strada, colpevole di non essersi arruolato tra quelli di Salò. Poi su un uomo con il sacchetto di riso per sfamare una famiglia, che era pure fascista. Hanno aggredito un vecchio perchè padre di un figlio prigioniero in Germania, che per questo doveva essere un traditore, un nemico.
Non dimenticherò mai il sangue che ho lavato davanti a casa. A me non mi si parli di fascisti.
Sono parole per la memoria di una storia vera ascoltata dalla voce di Argentina alla fine degli anni Novanta, citata per riservatezza solo con il nome di battesimo.