I 100 anni di Sergio Kasman “Marco”

Mercoledi’ 2 Settembre 2020, la Sezione ANPI di Chiavari ha ricordato i 100 anni della nascita del Partigiano “Marco” Sergio Kasman. Per l’occasione è stato stampato un opuscolo nel quale viene raccontata la storia di Kasman e della sua famiglia. All’interno si trovano foto e la copia della decorazione alla medaglia d’oro, con la motivazione della massima ricompensa al valor militare. Su gentile concessione dell’autore Giorgio Getto Viarengo ne riportiamo qui il testo e le immagini in formato digitale:

Sergio era nato a Genova il 2 settembre del 1920, con papà
Giovanni e mamma Maria Scala abitavano in Via Palestro al
numero 9. In una pubblicazione del 1984, Mario Bertelloni,
tracciava una puntuale biografia e descriveva con grande
precisione la cultura dell’uomo giusto e libero qual era Sergio.
Giovanni Kasman italianizza il suo nome di battesimo, era nato a
Niegin in Ucraina, dopo aver scelto la nostra nazione come sua
futura residenza, in Torino la sua prima dimora. Nella città
piemontese conosce Maria Scala che diventerà la compagna della
sua vita. Dopo il matrimonio, celebrato sul finire del 1919, si
trasferiscono in Genova, qui Giovanni avvia l’attività di sartoria in
Via XX Settembre. Con la nascita di Sergio trasferisce la famiglia in
un appartamento proprio sopra il laboratorio, qui il lavoro e la
qualità dei suoi tagli lo affermano nella Genova della ricca
borghesia, portandogli l’appellativo di “Forbice d’Oro”. Oltre
l’abilità artigianale, Giovanni conferma una sua grande
aspirazione: quella di cantante d’opera. La voce baritonale gli
permette diversi ruoli e parti, le sue interpretazioni lo porteranno
a esibirsi in diversi teatri: Alla Scala di Milano, San Carlo di Napoli,
al l’Operà di Parigi. Queste esperienze non bastano a gratificare le
aspettative, il suo desiderio e la creatività lo spingono a scrivere
una propria opera, “Il figlio della statua”, che diventa un sogno da
realizzare. Il lavoro, i progetti musicali e teatrali, il rinnovato
impegno nella famiglia: nel 1920 nasce Sergio, nel 1923 Marcello,
nel 1928 arriva Roberto. La casa diventa troppo stretta e il negozio
non è adatto per crescere i ragazzi. Giovanni e Maria pensano ad
un trasferimento nell’entroterra di Genova a Casella, dove spesso
vanno in villeggiatura. Nel 1932 si decide per il trasloco in Chiavari,
la prima abitazione è situata all’angolo tra corso Cristoforo
Colombo e piazza Vittorio Leonardi, papà Giovanni rimane a
Genova per lavorare nella sartoria. Tre anni dopo una nuova
residenza, la famiglia si sposta in corso Buenos Aires al numero 10.

Con questo cambiamento, si apre un nuovo orizzonte per
Giovanni, da tempo medita di trasferirsi in America e cercar
fortuna come cantante lirico, questo sarà il suo assillo per il
prossimo futuro. Con la nuova abitazione e i figli più grandi, inizia
per Sergio il ginnasio al Delpino, Marcello e Roberto frequentano
le elementari nelle vicine scuole comunali. Con le scuole superiori
nascono nuove amicizie, Sergio conosce e frequenta i fratelli
Ugolini, Giuseppe Rivarola, Ettore Balossi, Carlos Padilla, Giorgio
Giorgi, Claudio Lena, Gino Beer e Salvatore Mayda. Il prossimo
futuro è molto ben descritto nella biografia di Mario Bertelloni: “Il
padre sogna il Metropolitan, Sergio l’amore, Marcello
l’avventura”. Questi sogni e aspettative avranno un brusco
scontro con la realtà, nell’estate del 1938 si parla con sempre
maggiore attenzione del problema razziale, della necessità
d’affrontare e risolvere la questione ebraica nell’Italia fascista. Il
Giornale di Genova, il vecchio e glorioso Caffaro, apriva la
campagna per affermare la superiorità della razza ariana, il
progetto prevedeva il sistematico dileggio degli ebrei, in
particolare una serie mirata d’articoli colpivano la comunità
genovese, un’articolata campagna di luoghi comuni, di massime
contro gli israeliti. Giovanni Kasman, con un cognome d’origine
ebraica, è colpito da questa campagna, le leggi razziali varate
nell’ottobre faranno crollare tutto. Giovanni è convocato in
questura, qui gli interrogatori chiedono conferme sulle origini
della sua famiglia. Questa situazione convince papà Kasman di
portare a termine il suo sogno americano, di lasciare la sartoria ai
figli e partire. Il progetto si perfeziona, il 15 febbraio del 1939
Giovanni affida al figlio Sergio tutti i suoi crediti, il 23 s’imbarca sul
Rex, il suo prossimo indirizzo sarà al numero 246 sulla West 38th
Street a New York. Con questa scelta difficile per tutta la famiglia
inizia un fitto carteggio, non manca giorno che Giovanni non
scriva da New York, forse la sua coscienza teme per la difficile
situazione lasciata alla famiglia in Italia. Nelle sue lettere invia
consigli e detta scadenze, in più occasioni spedisce dollari per
concorrere economicamente alla gestione famigliare e alla
sartoria. Nelle ore della drammatica dichiarazione di guerra
Sergio Kasman è a Genova con Giuseppe Rivarola, sono chini sui
libri a preparare l’abilitazione magistrale.

La mentalità avventurosa di Marcello lo porta a tentare l’espatrio
clandestino, desidera raggiungere il padre in America, ma finisce
in cella. Arriva l’autunno, il primo di guerra, Sergio lascia Chiavari
alla volta di Torino, qui frequenterà la facoltà di Magistero, nella
nuova città conosce giovani studenti e capisce che tanti di loro
non condividono la guerra e il regime: le idee già ascoltate a
Chiavari dai fratelli Ugolini non erano isolate. Il primo rientro in
Chiavari è per andare a Pisa, si ferma in città e discute con mamma
Maria delle lettere di papà, Roberto cresce, Marcello è sempre
ingovernabile. In uno dei rientri in Chiavari fissa un
appuntamento, si tratta d’incontrare una ragazza che abita in
Piazza Roma, il suo nome è Laura Wronowski, la sua famiglia è
decisamente avversa al fascismo: la madre è sorella della moglie
di Giacomo Matteotti. Da quell’incontro nasce un amore, per lei
Sergio scriverà versi di profonda dolcezza: “un’ora di vita, in un’ora
tutta la vita”. Arriva una data che cambierà ulteriormente le
difficili condizioni di casa Kasman, il 7 dicembre del 1941, i
giapponesi attaccano gli americani a Pearl Harbour, l’Italia
dichiara guerra agli USA, questo determinerà il blocco delle
rimesse da New York. La chiamata alle armi raggiunge Sergio: si
parte per Pinerolo, qui l’addestramento; seconda caserma a
Canzo, nel comasco, il suo grado sergente allievo ufficiale. Arriva
implacabile la data che cambierà il quadro di tutto il Paese e il
destino di tanti italiani: l’8 settembre 1943. La prova per Sergio
Kasman giunge durante gli scontri di Porta San Paolo a Roma, i
tedeschi aprono il fuoco contro l’esercito italiano che difende la
città, lo scontro è rabbioso, “appena la pressione tedesca diventa
insostenibile, Kasman e gli artiglieri attuano una manovra di
disimpegno con lievi perdite, un paio di feriti. Ma a questo punto
occorre sul serio andarsene a casa”. Il sintetico virgolettato è
ancora una volta tratto dal testo di Bertelloni. La cronaca degli
scontri è alle spalle da cinque giorni quando riesce a rientrare a
Chiavari, il calendario segnava martedì 14 settembre.

Al rientro in città si reca subito dalla madre, la ritrova col solo figlio
Roberto, Marcello non è reperibile, solo alcune notizie
dall’ambasciata dell’Uruguay. Per Sergio inizia il percorso difficile
nella Resistenza, affianca e opera nell’Organizzazione Soccorso
Cattolico agli Antifascisti Ricercati, questa organizzazione è diretta
da due sacerdoti, don Andrea Guetti e don Aurelio Giussani.
Sergio accompagna quanti non possono stare più in Italia e
debbono trovare rifugio in Svizzera, si tratta di fare da guida nel
percorso tra le montagne e portare al sicuro i soggetti ricercati,
entra in clandestinità è il suo nome sarà Marco Macchi, talvolta
Marco Guardi. Il suo lavoro e la serietà lo mettono subito in primo
piano, la fiducia in lui cresce ogni giorno. Durante un’operazione
in Svizzera incontra suo fratello Marcello, era entrato
clandestinamente il 14 settembre del ’43, internato a Lucerna e
trasferito nel campo di lavoro di Waldegg. Con quell’incontro di
metà gennaio 1944 Marcello esce di scena, di lui solo supposizioni
o notizie frammentarie: è con la Resistenza francese, risulta
rientrato in Italia il 27 luglio del 1944; solo frammenti, nessuna
notizia certa. A marzo del 1944 Sergio incontra Ferruccio Parri e
Leo Valiani, sono in Svizzera per trattare con gli Alleati e richiedere
un impegno maggiore e aiuti per il movimento di Giustizia e
Libertà. Il rientro in Italia è percorso insieme scendendo da Luino,
come scriverà Ferruccio Parri nell’opera “Più duri del carcere”:
“capii che quel ragazzo avrebbe dato tutto se stesso alla causa che
sceglieva”. Da quell’incontro un nuovo impegno, il lavoro in GL
affianco di Parri, una grande responsabilità per Sergio Kasman
“Marco”, ora capo di Stato Maggiore del comando piazza di
Milano nelle squadre d’azione di Giustizia e Libertà. Il suo alloggio
è in una soffitta di piazza Baracca, qui vive con un altro clandestino
di GL Bepi Baltoli. Durante i colloqui col compagno d’abitazione
non riesce a contenere l’angoscia per il continuo pensiero ad un
amico detenuto, il suo primo amico di questo nuovo impegno
ideale: Nino Baccigaluppi, recluso a San Vittore.

Questo diventerà il chiodo fisso, ne parla con Parri e riferisce il
piano di liberazione: mi travesto da tedesco e porto fuori Nino.
Non si tratta di un’idea dettata dall’impeto, Sergio vuole davvero
liberare Baccigaluppi, Arialdo Banfi detto “Momi” e un certo
Patterson detto il Canadese. È domenica 9 luglio 1944, “Marco”
ripassa con i suoi i punti determinati dell’azione, non si deve
sbagliare nulla e non sbaglieranno, il commando di Giustizia e
Libertà potrà annotare un preciso “Missione Compiuta”. I successi
di Sergio Kasman “Marco”, lo pongono tra i più assidui ricercati e la
sua vita in Milano diventa ogni giorno più difficile. Nei fitti contatti
con la Resistenza e nello scambio d’informazioni è raggiunto da
una nota che proviene dalla VI Zona Operativa, da Chiavari giunge
segnalazione dell’arresto del fratello Roberto. Sergio entra
immediatamente in azione, il progetto è una replica di quanto
messo in atto a San Vittore, nella notte si trasferisce a Genova, qui
il contatto con un ferroviere che li accompagna al garage dove è
pronta una macchina e documenti falsi per l’azione, anche in
questa occasione tutto riesce con precisione, Roberto è portato
via, al sicuro a Genova. La Madre Maria è sfollata, verrà
prontamente informata e consigliata di non rientrare a Chiavari, si
sposterà a Zoagli presso la frazione Semorile, mentre Roberto sarà
affidato ad un gruppo di Giellini ad Isola del Cantone. Con un
abbraccio saluta il fratello, “Marco” rientra a Milano con un treno
in terza classe. Sono giorni di grande difficoltà, la polizia politica e
la Brigata Nera Ettore Muti non lasciano scampo agli uomini della
Resistenza, gli attivisti di GL sono costretti a cambiare spesso
abitazione, inoltre, Ettore Piantoni, uomo di GL, è stato catturato
e dopo un durissimo interrogatorio negli uffici della Muti, ha
deciso di collaborare coi repubblichini. Sfinito dall’interrogatorio
sarà lui a portare “Marco” verso il drammatico incontro di piazza
Lavater. L’agguato avviene nei pressi dell’edicola dei giornali,
scrive Mario Bertelloni: “Gli occhi di Sergio si illuminano, va
incontro all’uomo, felice come una Pasqua; mentre si avvicina dà
un’occhiata in giro, tutto sembra tranquillo.

I due si salutano calorosamente, la stretta di mano è vigorosa. In
un batter d’occhio la trappola scatta, Kasman sente qualcosa
contro le reni, sono le pistole di Porcelli e Cagnoni, sente l’’urlo di
Porcelli “fermo, mani in alto!”, un urlo in cui il tono di comando è
sopraffatto dalla trepidazione. Il sorriso di Marco si spegne”. Il
racconto è ben documentato e ci porta verso la tragedia
definitiva. Lo spingono verso un’automobile, quando mancano
pochi passi tenta l’impossibile:” affida tutto a uno strattone e allo
scatto”, Alceste Porcelli apre il fuoco, Sergio Kasman cade sul
selciato, ancora in vita viene trasportato nel vicino posto di
guardia medica. Qui il racconto può trasferirsi al linguaggio
freddo e burocratico del registro dello Stato Civile di Chiavari:
“rapporto numero 17 del 9/12/1944, Kasman Sergio di Giovanni e
Scala Maria, di anni 24. Io Manara Antonio, ufficiale dello stato
civile del Comune di Milano, do atto che: Il giorno nove di
dicembre dell’anno millenovecentoquarantaquattro, alla Guardia
Medica di Piazza Venezia è morto Kasman Sergio, dell’età di anni
ventiquattro, di razza ariana, studente residente in Chiavari”. Il
calore della passione ritornerà il 13 maggio del 1945 a Roma, è la
voce di Ferruccio Parri, siamo all’Eliseo, che ricorda” il buon
Marco, il fido compagno…una delle tempre più generose”. La vita
riprende nelle città liberate, Roberto e Maria Scala ritornano nella
loro abitazione di corso Buenos Aires, qui incontreranno il vecchio
amico Carlos Padilla, dalle sue parole una notizia inaspettata:
papà Giovanni è morto a New York. Il cammino del dolore
continua, lunedì 22 ottobre 1945 la salma di Sergio Kasman è
traslata e trasferita al campo di Musocco, a salutarlo le famiglie e il
presidente del consiglio Ferruccio Parri, il prefetto di Milano
Riccardo Lombardi. Nel primo anniversario della morte è la sua
Chiavari a ricordarlo, nel salone dell’Hotel Giardini la voce di
Ettore Lanzarotto commemora la “gloriosa morte del
concittadino Sergio Kasman, poeta e patriota”.

Con il decreto del 24 aprile 1946, Sergio è insignito della
medaglia d’oro al valor militare: “Comandante di formazione
partigiana sui monti Lombardi, poi capo di Stato maggiore del
Comando Piazza di Milano, per quindici mesi infaticabile nel
colpire il nemico, ardente trascinatore nella dura lotta, guidò
personalmente audaci colpi di mano che portavano alla
liberazione di prigionieri politici incarcerati. Arrestato due volte,
due volte sfuggiva alla morte e riprendeva con incomparabile
ardimento il suo precedente incarico, sdegnando di accettare
l’offerta di missioni in zone meno rischiose. Catturato una terza
volta incontrava morte gloriosa consacrando il supremo
sacrificio al suo sogno di giustizia e libertà. Milano, 9 settembre
1943 – 9 dicembre 1944”. I compagni di Milano lo ricordano e
scrivono un’epigrafe a memoria del sacrificio in piazza Lavater,
Ferruccio Parri sarà in Chiavari per l’intitolazione della lapide di
Corso Colombo, il 25 aprile del 1977 è l’ammiraglio Luigi Gatti a
tagliare il nastro tricolore, la nuova viabilità lungo il fiume
Entella prede il nome di Viale Kasman, in occasione del 25 aprile
dell’85 il bronzeo busto plasmato da Pietro Solari con l’epigrafe
scritta da Laura Wronowski. Una storia complessa e piena di
dolore, di uomini che seppero combattere dalla parte giusta e
riconsegnare l’Italia alla libertà, di Sergio Kasman possiamo
ribadire due sole parole: era uomo giusto e libero.
Giorgio Getto Viarengo

Clicca qui per visualizzare la Mappa digitale della Resistenza nel Tigullio

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Pubblicato da Matteo Brugnoli

Maritime Consultant

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